#6 Anniversari
In questo numero: una storia di perseveranza e coraggio, un albero che può dire "Io c'ero!" e una piazza a San Gimignano.
Altrove è la newsletter bookolica di lettureinviaggio.it. Ogni mese qui dentro condivido scintille, racconto luoghi e aggiungo piante al mio erbario letterario.
Il 5 febbraio Letture in Viaggio ha compiuto otto anni. Lo amo così tanto, che alla domanda quantə figlə hai1 sono spesso tentata di rispondere tre. La generatività è poliedrica.
Nella mia testa scrivere e sudare sono sinonimi, ma non ho mai pensato di gettare la spugna (anche perché la spugna mi serve per tamponare il sudore). So bene, però, che gli equilibri che nella vita ci permettono di fare determinate cose sono precari. Basta un tremore della mano o una vibrazione improvvisa del tavolo che la torre di mattoncini viene giù.
Letture in Viaggio è per me sia una finestra sul mondo sia il diario di un percorso umano. Non è un caso che il generico “leggi, esplora, condividi” che per anni ha accompagnato la vecchia versione del blog abbia lasciato il posto a “libri per spostare lo sguardo”. Una dichiarazione d’intenti.
Qual è il senso degli anniversari? Celebrare i passi in avanti, riflettere su quelli che ci hanno fatto retrocedere, rallentare o fermare e chiedersi: in cosa posso migliorare? Di cosa ho bisogno e cosa non mi serve più? Cosa potrei (o vorrei) fare adesso che prima non facevo?
Al momento so con certezza che ho bisogno di svegliarmi presto al mattino per leggere, scrivere e bere caffè (che pace!). A breve le altre risposte. Un grazie a chi mi legge, mi cuora, mi condivide. E un grazie effervescente a chi mi segue dagli albori ed è ancora qui a sostenermi. Smack!
Scintille
What people see as fearlessness is really persistence. Because I am focused on the solution, I don’t see danger. Because I don’t see danger, I don’t allow my mind to imagine what might happen to me, which is my definition of fear. If you dont’ foresee the danger and see only the solution, then you can defy anyone and appear strong and fearless.2
— Unbowed. One Woman’s Story, Wangari Maathai
Avevo proprio bisogno di una storia di attivismo, perseveranza e coraggio e quella raccontata da Wangari Maathai nella sua autobiografia Unbowed. One woman’s story (Arrow Books, 2006)3 soddisfa appieno pure le manie bookoliche di questa newsletter abbracciapiante.
Attivista, ambientalista, fondatrice del Green Belt Movement e vincitrice del premio Nobel nel 20044 “for her contribution to sustainable development, democracy and peace” (per il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace), Wangari Maathai è stata una figura cardine per la salvaguardia ambientale e la lotta per la democrazia e i diritti umani in Kenya.
Quando nasce nel villaggio di Ihithe, il 1 aprile 1940, il Paese è una colonia britannica (otterrà l’indipendenza nel 1963). Wangari è una delle poche bambine che riesce a studiare e lo fa con profitto, tanto che dopo il diploma viene selezionata per una borsa di studio negli USA insieme ad altre giovani menti provenienti dai Paesi africani emergenti.
Nel 1964 ottiene la laurea in biologia al Mount St. Scholastica College di Atchison (Kansas) e nel 1966 si specializza a Pittsburgh (Pennsylvania). Nel 1971 completa il dottorato, svolto tra le università di Monaco e Nairobi. In quella di Nairobi comincia a insegnare anatomia veterinaria. Nel 1976 è a capo dell’omonimo dipartimento e nel 1977 diventa professora associata (è la prima donna nella sua regione a ottenere entrambe le cariche).
È inoltre attiva nel National Council of Women of Kenya (NCWK). Nel 1977 fonda il Green Belt Movement, per risolvere i problemi ambientali con cui fame e povertà vanno a braccetto. L’idea alla base del movimento è semplice: piantare alberi, coinvolgendo soprattutto le donne delle comunità rurali, di cui conosce bene le difficoltà.
Bisogna poi aiutare le persone a comprendere che la politica non sta facendo gli interessi del popolo. Il cieco sfruttamento delle risorse naturali impoverisce la terra e chi da essa trae sostentamento. Per il presidente Moi (al potere dal 1978 al 2002) il Green Belt Movement si trasforma ben presto in una spina nel fianco. Una spina nel fianco guidata da una donna. Una donna di etnia Kikuyu. Una donna Kikuyu istruita che si rifiuta di stare al suo posto.
Così tra gli anni ‘80 e ‘90 Wangari Maathai entra e esce di prigione. Sono soggiorni brevi, che nel tentativo di piegarla e umiliarla la rendono solo più indomita. Tra una lotta e l’altra, intanto, continua a ricevere premi e a tessere una rete di supporto internazionale che permette al Green Belt Movement di aumentare notorietà e raggio d’azione. Importante è il ruolo dei media locali e internazionali, usati per amplificare l’impatto delle sue campagne.
Negli anni 2000 Wangari Maathai viene eletta membro del parlamento keniota e Assistente Ministra per l'Ambiente e le Risorse Naturali durante la presidenza di Mwai Kibaki. Malata da tempo, muore a Nairobi nel 2011.
Unbowed. One woman’s story (letto con il gruppo di lettura Fronti e Frontiere) ha dei difetti. È un libro molto denso e alcune sezioni mi sono sembrate ridondanti, soprattutto nella seconda parte, però oltre a essere il racconto onesto di una vita straordinaria, è anche un affresco della situazione politica e sociale kenyota tra gli anni ‘40 del secolo scorso e i primi anni 2000. Permette, inoltre, di osservare da vicino la nascita e lo sviluppo del Green Belt Movement, una delle cose che più mi ha affascinato.
Wangari Maathai ci ricorda l’importanza di agire, fare comunità, perseverare, perseverare e ancora perseverare. Usarsi senza paura di consumarsi.
All the work I have done and continue to do — for Kenya, the environment, and peace — I have done and continue to do for them, and for the generations that will follow. When the road bends and I have no idea what will emerge, I think of them and gain the courage to follow the curve and walk forward, though the path ahead be yet untrodden. They are my hope and they give me a sense of immortality.5
— Unbowed. One Woman’s Story, Wangari Maathai
Erbario
L’odore particolare delle strade di New York, dovuto ai piccoli frutti mercescenti del ginkgo biloba. Annoto anche questo odore… Ginkgo biloba a New York. Cosa ci sarà nella memoria di questa pianta, che ricorda la fine dei dinosauri, questi grattacieli mobili (e cadenti) di prima dell’era glaciale? E, insieme a loro, anche la caduta dei veri grattacieli — è un ricordo esagerato, terrificante. Hai capito ora perché hai incubi, mi dico, perché ti ingozzi di ginkgo biloba contro la smemoratezza, mentre lui ricorda cose terrificanti.
— Cronorifugio, Georgi Gospodinov (traduzione di Giuseppe Dell’Agata, Voland, 2021)
Ringrazio Georgi Gospodinov per l’assist (leggi Cronorifugio, te lo consiglio) e mi avventuro brevemente nella vita del Ginkgo biloba. E che vita! Io mica lo sapevo che avesse conosciuto i dinosauri (l’ho scoperto l’anno scorso grazie a un libro di Piccola Poppins). La mia ignoranza si limitava ad associargli tre etichette: “integratore”, “funzioni cognitive” e “microcircolo”.
In effetti il caro Gospodinov conferma che è utile a chi ha problemi di smemoratezza. Be’, cos’altro potrei aspettarmi da un pianta che arriva dall’era permiana?
Il Ginkgo biloba appartiene alla famiglia delle Ginkgoaceacae6 ed è originario della Cina. Scoperto nel giardino di un tempio giapponese nel 1690 dal botanico tedesco Engelbert Kaempfer, l’albero è oggi coltivato in tutto il mondo e usato come pianta ornamentale per le strade e nelle aree verdi.
Ora so che il primo Ginkgo biloba arrivato in Italia nel 1750 si trova nell'Orto Botanico di Padova. A Berlino il più grande e antico Ginkgo biloba della città sta nel Gutspark Britz, il parco dello Schloss Britz, nel distretto di Neukölln. È stato piantato intorno al 1880-90. Il suo tronco ha una circonferenza di oltre 3 metri ed è alto circa 20 metri. Andrò a visitarlo nei prossimi mesi.
E visto che mi sono spostata in territorio tedesco concludo informandoti (so che volevi saperlo) che al Ginkgo biloba Goethe ha perfino dedicato una poesia (puoi leggerla qui in lingua originale. No, non ci provo nemmeno a tradurla).
Luoghi
Sono stata a San Gimignano nell’autunno del 2010, perché da lì proveniva la mia bisnonna paterna. Fa uno strano effetto visitare i luoghi legati al proprio albero genealogico.
La mia bisnonna è morta in Abruzzo all’età di 93 anni. Io sono arrivata a gennaio, lei se n'è andata a novembre. Ci siamo solo sfiorate. Abbiamo due foto insieme, entrambe in bianco e nero, scattate da papà. In una si vedono i nostri volti di profilo in primo piano e le fronti, la sua rugosa, la mia liscia, che si toccano. Sempre, quando la guardo, mi commuovo.
Ho scoperto che nel 2019 Piazza delle Erbe, quella su cui si affacciano le Torri dei Salvucci7 e dove un tempo si teneva il mercato dei prodotti agricoli, è stata intitolata per un anno a Wangari Maathai8. Vedi? Tutto torna. E io posso chiudere soddisfatta questa edizione di Altrove.
Se gennaio mi è sembrato infinito, febbraio è stato breve quanto una folata di vento gelido. Qualche giorno fa nel nostro giardino ho avvistato dei crochi. La primavera è vicina. Yeah!
Domanda spesso preceduta da un: “ah, ma quindi hai dei figlə?” (leggi: non l’avrei mai detto!). Io che con un sorriso tirato cerco la risposta adatta tra:
A) “Guarda, nemmeno io l’avrei detto…”
B) “No, ho due koala!”
C) Un “Eh sì..” passivo-aggressivo pieno di fulmini e saette invisibili.
Traduzione mia, quindi molto basic: “Quello che la gente vede come mancanza di paura è in realtà una grande perseveranza. Poiché mi concentro sulla soluzione, non vedo il pericolo. Poiché non vedo il pericolo, non permetto alla mia mente di immaginare cosa potrebbe accadermi, che è la mia definizione di paura. Se non immagini il pericolo e ti concentri solo sulla soluzione, puoi affrontare chiunque e apparire forte e impavida.”
Solo il vento mi piegherà, Sperling & Kupfer, 2007. Traduzione di Rosanna Carrera.
È stata la prima donna africana a ricevere il premio Nobel per la pace.
Traduzione mia, quindi molto basic: “Tutto il lavoro che ho fatto e continuo a fare — per il Kenya, per l'ambiente e per la pace — l'ho fatto e continuo a farlo per loro* e per le generazioni che verranno. Quando la strada si incurva e non ho idea di cosa emergerà, penso a loro e trovo il coraggio di seguire la curva e camminare in avanti, anche se il sentiero da percorrere non è ancora stato battuto. Sono la mia speranza e mi danno un senso di immortalità.”
*Si riferisce aə suoi figlə
Questa famiglia comprendeva sette generi. L’unico genere sopravvissuto è il Ginkgo, a cui appartiene la specie Ginkgo Biloba.
Due torri gemelle appartenute alla più importante famiglia guelfa della città.
È anche presente nel Giardino dei Giusti di Milano.