#2 Guardiane
In questo numero: un'artista inglese che viaggiò in lungo e in largo per dipingere piante, un gatto addormentato su un letto di nasturzi e un giardino delle streghe.

Vorrei una casa piena di piante. Invece ad abitarla sono in poche, quelle che non mi temono: le pothos posizionate tra soggiorno, bagno e cucina, una Monstera deliciosa in camera da letto e una kentia comprata qualche anno fa pensando (erroneamente) fosse facile da mantenere.
Nel tempo sono riuscita a stroncare i sogni di una Sansevieria trifasciata, una Zamioculcas zamiifolia, una Pilea peperomioides, diverse orchidee, piante di basilico, prezzemolo e rosmarino, eriche, geranei, ciclamini… la lista è lunga. Ti risparmio il resto.
C’è stato un tempo in cui mi ero illusa di avercelo un po’ di talento. Vivevamo tra gli ultimi due piani, cinque senza ascensore, di un palazzo costruito negli anni ‘20. Il soggiorno aveva una finestra sul tetto e nelle giornate di sole sembrava di stare in una serra. Lì dentro prosperavano i peperoncini e la zamia era felice, mentre sull’unico balconcino a disposizione crescevano basilico e lavanda.
Delle piante che ho adesso è la kentia (ribattezzata Suzanne) a preoccuparmi. Durante il primo anno di vita di Piccolo Poppins l’ho quasi abbandonata a se stessa e ora mostra segni di sofferenza. Mi addolora vederla così, con qualche foglia tendente al marrone o spaccata, diverse con le punte secche.
Meriterebbe (e avrebbe meritato) più attenzione, una stanza proporzionata alla sua grandezza e, credo, anche una certa privacy. Dovrei regalarla, mi sono chiesta, a chi può offrirle una vita migliore? Forse sì, ma qualcosa mi frena.
Così per ora la tengo in sala, nell’angolo fra la finestra e il divano Ikea arancione, riparata dal sole ed esposta alle correnti di una vita rumorosa e caotica, guardiana di una casa abitata da voci squillanti e occhi vivaci, mani cuoriose e gambe rapide, sempre in movimento, sempre imprevedibili.
Scintille
Tra i tanti posti londinesi che non ho ancora visitato ci sono i Kew Gardens, i giardini botanici reali. Se prima desideravo andarci solo per il loro legame con Virginia Woolf1 e una generica attrazione per i luoghi di questo tipo, ora ho un motivo in più per farlo: la Marianne North Gallery.
Grazie a Nicoletta Rolla, appassionata di storie di viaggiatrici e accumulatrice seriale di libri sull’argomento (dai un’occhiata al suo profilo Instagram), ho recentemente scoperto Marianne North (1830-1890), artista, naturalista e viaggiatrice britannica, che tra il 1871 e il 1885 visitò 15 paesi2 con l’intento di dipingere quante più piante possibili nel loro habitat naturale.

Nata ad Hastings3 da una famiglia benestante, Marianne North si cimenta fin da piccola nel canto e nel disegno, rivelando un talento precoce. Tra il 1847 e il 1850 studia musica, pittura e botanica in giro per l’Europa.
Quando la madre viene a mancare, nel 1855, lei continua a viaggiare prima con il padre e la sorella e poi, dal 1864, solo con il padre. Insieme si muovono tra Europa e Medioriente. Il resoconto di queste esperienze è affidato a diari e schizzi.
A 26 anni rimane affascinata dalle piante tropicali e subtropicali della Palm House a Kew Garden, tanto da iniziare a sognare di esplorare i tropici. Nel 1869, durante un soggiorno sulle Alpi, il padre si ammala e al ritorno ad Hastings muore. Per Marianne è un duro colpo.
Il 1871 è un anno decisivo: riemersa dal dolore e non avendo alcuna intenzione di sposarsi — considera il matrimonio «un terribile esperimento»4 — vende la casa natale per intraprendere da sola il primo di una serie di viaggi, che nei successivi 14 anni la vedranno muoversi instancabilmente da un continente all’altro, dipingendo un’enorme quantità di piante e contribuendo alla scoperta di nuove specie botaniche.
A rendere uniche le sue opere sono soprattutto due elementi: l’uso della pittura a olio, che non sbiadisce nel tempo come l’acquerello e rende le immagini vivide, e il fatto che le piante siano ritratte nel loro ambiente naturale, includendo anche gli animali e le persone del luogo. Un modo originale di rappresentare il mondo botanico, diverso da quello in voga fino ad allora.
Nel 1879 scrive a Sir Joseph Hooker, il direttore dei Kew Gardens, perché vorrebbe donare i suoi lavori ai giardini reali e finanziare la costruzione di un padiglione apposito. La Marianne North Gallery, di cui cura ogni dettaglio, apre al pubblico nel 1881 e raccoglie 838 opere.
Marianne continua a girare il mondo da sola finché i problemi di salute non la costringono a fermarsi. Nel 1886 si stabilisce a Alderley, nel Gloucestershire, dove muore quattro anni dopo. È seppellita a St Kenelm, il cimitero del villaggio.
A Alderley si era dedicata alla scrittura delle sue memorie, lasciandole incompiute. Furono pubblicate nel 1894 da Macmillan and Co. con il titolo Recollections of a Happy Life: Being the Autobiography of Marianne North, grazie alla sorella Catherine, che si occupò della revisione del testo, e all’amico Sir Joseph Hooker, che negoziò con la casa editrice.
Erbario
In fondo al viale si ergeva l’edificio in pietra grigia. Una clematide violetta rivestiva la veranda e un gatto bianco dormiva su un letto di nasturzi. Le imposte erano chiuse per rispetto al morto. Laura guardò la casa. Fin dalla sua prima infanzia era stata un’immagine familiare. Ma ora la vedeva con occhi diversi: la invase un presagio di esilio e, dimentica di Laura Place, guardò la dimora abbandonata tanto prima con lo struggimento di un reietto. La casa somigliava a una vecchia bambinaia cieca, seduta al sole a rimuginare eventi lontani. Sembrava un atto di terribile ingratitudine lasciarsi tutto alle spalle e andarsene senza nemmeno una parola affettuosa, ma i cancelli erano chiusi, il tempo del benvenuto ormai passato.
Di Lolly Willowes o L’amoroso cacciatore, libro che ho amato, avrei potuto scegliere molte altre citazioni. Il romanzo di Sylvia Townsend Warner è una festa di specie vegetali. Geranei, rododendri, ortiche, peri, gigli, noci, portulaca, pioppi, crisantemi, biancospini, ginepri, cardi, larici, abeti, faggi: su quale soffermarmi?
Poi mi sono ricordata di quel gatto addormentato sui nasturzi. Che bella immagine! ho pensato. E così mi sono lanciata alla ricerca di informazioni su questo fiore, scoprendo che è originario del Perù, che tutte le sue parti sono commestibili e che ha un sapore simile a quello del crescione. In Europa è usato soprattutto come pianta ornamentale5.

Curiosa è l’origine del nome. Dai un’occhiata a quella della parola nasturzio. Ancora più interessante, però, è la scelta del nome botanico, usato per la prima volta da Linneo nell’opera Species Plantarum (1753): Tropaeolum majus6. Tropaeolum deriva dal latino tropaeum, ossia trofeo.7
Ma che c’entrano i trofei? La pianta ricorderebbe i trofei antichi (le foglie paiono scudi) eretti dopo una battaglia dai vincitori con le armi e le armature dei nemici vinti8. Ecco, forse, perché nel linguaggio dei fiori il nasturzio è simbolo di vittoria e trionfo.
Luoghi
Fra i miei posti preferiti a Berlino c’è il Britzer Garten, nel quartiere di Neükolln, una grande oasi verde con vialetti distesi fra prati alberati, cespugli in fiore, specchi d’acqua e ponticelli dove passare una giornata intera fingendo di essere altrove.
Ci sono tornata qualche mese fa. Non ero sola e il cielo minacciava pioggia. Ho proposto alle mie compagne una visita al giardino delle streghe (Hexen Garten), l’angolo che preferisco (alcune foto le ho pubblicate sul mio profilo Instagram @lettureinviaggio).
Ricorda le rovine di un castello e ospita piante tipiche dei giardini medievali. Tra queste anche una selezione di erbe medicinali citate da Ildegarda di Bingen nelle sue opere. Credo piacerebbe anche a Lolly Willowes. A me di sicuro piace tantissimo.
Il giardino delle streghe del Brizter Garten non è l’unico giardino medievale della città. L’altro si trova presso il Museumsdorf Düppel, un villaggio ricostruito sulla base dei resti di un insediamento del XII secolo trovati nella zona durante gli scavi effettuati negli anni Sessanta del Novecento.
Situato al confine con il Brandeburgo, il villaggio-museo di Düppel è un altro di quei luoghi immersi nel verde dove trascorrere del tempo in totale beatitudine. Nel fine settimana attori e attrici in abiti medievali arrostiscono il pane su una stecca di legno, intrecciano cesti, curano il giardino, tessono o mettono in scena un pasto.
Sul blog…
trovi le mie impressioni su Lolly Willowes o L’amoroso cacciatore di Sylvia Townsend Warner
Grazie per aver letto Altrove! Questa edizione ottobrina si è lasciata cullare più dalle piante che dai libri. Spero ti sia piaciuta. Al mese prossimo. Un abbraccio!
Virginia Woolf scrisse un racconto intitolato Kew Gardens, pubblicato nel 1921.
Il sito web dei Kew Garden riporta questo numero. Su altri siti web a volte si parla di 16, altre di 17.
La sua casa natale esiste ancora ed è una “listed building grade II”. Fonte: sito web di Historic England.
Esiste anche il Tropaeolum minus, il nasturzio nano.